Come controllare il carico d’allenamento

Il sovrallenamento (overtraining) – definizione

Il sovrallenamento è stato definito, da diversi autori, come

  • “uno squilibrio tra allenamenti, competizioni e tempi di recupero”, ossia un eccesso di allenamenti e di gare, associato a tempi di recupero insufficienti
  • “condizione nella quale la somma degli effetti biologici negativi provocati da allenamenti troppo intensi e/o gare ravvicinate si traduce in una incompleta rigenerazione funzionale di tutti i sistemi cellulari”
  • termine generale indicante che l’individuo è stato sottoposto a stress, derivanti dall’allenamento e da altri eventi estranei (es. stile di vita), al punto da non essere in grado di esprimere una prestazione di livello ottimale dopo un appropriato periodo di rigenerazione; per una diagnosi di sovrallenamento è necessaria una caduta della prestazione

Kuipers definisce l’overtraining come uno squilibrio tra allenamento e recupero provocante una disfunzione del sistema neuroendocrino a livello ipotalamico. 
Fry, parla di un abnorme aumento del volume o dell’intensità d’allenamento con decremento della performance. Furono soprattutto Fry et coll. a mettere l’accento sul fatto che è indispensabile il riscontro di un calo prestativo, in aggiunta agli altri elementi, per potere affermare che un atleta si trova in una situazione di sovrallenamento.

Definizione del problema

In merito agli elementi della struttura dell’allenamento che favoriscono l’insorgenza del sovrallenamento, si è portati a ritenere che incida maggiormente il volume di lavoro (specie quello caratterizzato da intensità relativamente elevate), rispetto all’intensità di per sé. Infatti l’elevazione del volume allenante porta come conseguenza una contrazione delle giornate dedicate al recupero

Il rischio di overtraining, tuttavia, è soprattutto in relazione con gli squilibri tra i rapporti di carico e scarico nel programma d’allenamento
Infatti, forti carichi di lavoro possono essere tollerati anche per lunghi periodi di tempo senza arrivare all’ overtraining applicando i corretti principi dell’alternanza del carico. Il termine “sovrallenamento” è tuttora discusso e alcuni lo ritengono improprio, in quanto indicherebbe che la causa del calo prestativo debba essere ricercata esclusivamente nell’ eccessiva quantità dei carichi allenanti. In realtà, si è potuto osservare che le cause dello scarso rendimento sono molteplici e non correlate esclusivamente a errori nella pianificazione degli allenamenti.

Non esiste una netta demarcazione tra la normale fatica risultante dall’allenamento e il sovrallenamento (overtraining); vi è tuttavia una fase intermedia, rappresentata dal sovraffaticamento (overreaching o sovrallenamento a breve termine). Una delle caratteristiche che distinguono il sovrallenamento a breve termine da quello a lungo termine, è la constatazione che dal primo, dopo un adeguato recupero, è possibile ottenere dei miglioramenti prestativi, mentre una volta incorsi nel secondo, l’unica via di uscita è una fase di recupero che si protragga per diverse settimane, la quale non comporterà comunque miglioramenti della performance, bensì la necessità di ripartire da una bassa condizione fisica.

Stato di fatica stress da allenamento

Dopo alcuni allenamenti pesanti per intensità e durata, è fisiologico che compaia uno stato di fatica, di stress; se vengono rispettati i tempi di recupero, la fatica scompare e la supercompensazione favorisce il ripristino e, anzi, il miglioramento delle capacità prestative. In tal senso sono sufficienti uno o due giorni di recupero o, al massimo, un periodo di sette giorni (microciclo di scarico o rigenerazione), in cui vengono effettuati allenamenti di scarico blandi perché la sintomatologia scompaia. Siamo all’interno di un normale andamento dei processi adattativi dell’organismo sottoposto a un programma di allenamento.

Sovrallenamento o Overtraining        

Quando l’atleta viene esposto acutamente ad allenamenti estenuanti, a competizioni ripetute e, non di meno, ad altri tipi di stress (ambiente lavorativo e familiare) tanto da non essere più in grado di esprimersi a livelli di rendimento ottimali, nemmeno dopo un appropriato periodo di scarico e di recupero, allora è giusto parlare di sovrallenamento o di “overtraining”. Va sottolineato che, per poter diagnosticare con sicurezza uno stato di sovrallenamento, è indispensabile documentare un calo delle capacità prestative. Nell’ambito del sovrallenamento, occorre poi distinguere due diverse forme: il sovrallenamento a breve termine (short-term overtraining) o “overreaching” e il sovrallenamento a lungo termine (long-term overtraining) o “overtraining sindrome“.
 

Overreaching (short-term overtraining)

definizione

Transitoria riduzione delle capacità prestative, la cui durata abbraccia un periodo di tempo relativamente breve (da alcuni  giorni fino a due settimane) L’atleta avverte uno stato di fatica superiore a quello che dovrebbe derivare da un normale carico allenante e non va confuso con le normali fluttuazioni prestative che si verificano nell’atleta di giorno in giorno, tuttavia la fatica può essere smaltita con un adeguato recupero e ciò non compromette i processi di supercompensazione. Si traduce in una riduzione o mancato incremento della capacità di prestazione intorno alle 4mML di lattato

caratteristiche

A volte tale situazione viene espressamente ricercata dagli allenatori che la ritengono una componente normale dell’allenamento, specie se indirizzato alla ricerca di adattamenti massimi in funzione di una competizione. Alla base dell’overreaching sembra esservi una fatica di tipo “periferico” e, quindi, più tipicamente muscolare. Qualora una prestazione negativa, dovuta a uno stato di overreaching, non venisse riconosciuta immediatamente, l’allenatore potrebbe essere indotto ad aumentare ancora i carichi di lavoro, con l’intento di compensare il gap prestativo: in tal caso il risultato sarà di peggiorare la situazione, facendo scivolare l’atleta verso l’ “overtraining sindrome”. Quella dell’overreaching è pertanto una fase molto delicata, che deve essere riconosciuta onde evitare il rischio di peggiorare il quadro. 
 

Overtraining sindrome (long-term overtraining)

definizione

sindrome caratterizzata da uno stato di esaurimento psicofisico di tipo cronico (prolungata nel tempo), che si associa a un calo della “performance” associata a sintomi di tipo

  • organico (senso di fatica sia a riposo che in esercizio, stasi della capacità d’adattamento, riduzione della capacità di prestazione intorno alle 4mML di lattato)
  • muscolare (dolenzia, faticabilità eccessiva),
  • psichico (sbalzi del tono dell’umore, inappetenza, disturbi del sonno, diminuzione della motivazione)

La prognosi è più severa: tale sindrome può durare settimane o mesi

caratteristiche

Una volta instauratasi, a differenza dell’overreaching, compromette i processi di supercompensazione. L’atleta appare svuotato, demotivato e nell’assoluta impossibilità di reagire positivamente agli stimoli indotti dall’allenamento. Implica uno stato di fatica di tipo “centrale“, caratterizzata da alterazioni delle capacità di concentrazione e di motivazione.

Nell’ ambito dell’ overtraining vanno differenziate due forme:

overtraining di tipo “simpatico

caratterizzato da un’aumentata attività, in condizioni di riposo, del sistema nervoso simpatico, che implica accelerazione del battito cardiaco, eccitazione e irrequietezza. È più frequente negli sport a prevalente componente esplosiva, quindi di tipo anaerobico, e colpisce più frequentemente gli atleti giovani.

Nel determinarlo, agli stress indotti dall’allenamento, si uniscono fattori socio-lavorativi ed ambientali. Riveste notevole importanza, nel determinismo della forma simpatica, anche la monotonia legata agli allenamenti.

Sintomi caratteristici del sovrallenamento a dominanza “simpatica”

a livello prestativo

  • calo della performance
  • diminuzione della forza
  • diminuzione della potenza massima
  • fatica generalizzata
  • difficoltà di recupero

a livello cardiocircolatorio

  • aumento della frequenza cardiaca a riposo
  • aumento della pressione sanguigna a riposo
  • rallentamento della velocità di recupero della fc al termine di un carico

a livello antropometrico

  • diminuzione della massa corporea, associata a perdita di grasso corporeo eo a bilancio azotato negativo (calo tessuto muscolare)

a livello immunologico

  • aumento della suscettibilità alle infezioni ed alle malattie, con modificazioni dei profili ematici immunologici
  • riattivazione di herpes virali

a livello emotivo e comportamentale

  • demotivazione nei confronti dell’allenamento e della competizione
  • disturbi del sonno
  • instabilità emotiva
  • diminuzione dell’appetito
  • apatia e senso di depressione
  • difficoltà di concentrazione

Si tratta di una serie molto vasta di sintomi che, tuttavia, quando compaiono singolarmente, se non accompagnati da calo della performance, non possono essere imputati ad una situazione di sovrallenamento

overtraining di tipo “parasimpatico

caratterizzato da una soppressione dell’attività del simpatico e non da una vera e propria dominanza del parasimpatico. Ne deriva un tipico atteggiamento apatico e depresso (ridotta pressione sanguigna, ridotta fc a riposo, facilità nel sonno e nel riposo). Si riscontra prevalentemente negli sport di resistenza aerobici e nei soggetti più anziani ed è più difficile da individuare, perché i sintomi sono meno eclatanti e allarmanti.

Il soggetto, infatti, si presenta in condizioni di buona salute, senza insonnia (piuttosto con la tendenza a dormire di più) senza perdite di peso e con appetito normale.
E’ la forma più ingannevole: è infatti caratterizzata da una serie di elementi che facilmente potrebbero essere confusi con le modificazioni positive indotte dall’allenamento (per esempio, una più bassa frequenza cardiaca a riposo e un più rapido recupero della frequenza cardiaca stessa dopo sforzo)

Sintomi caratteristici del sovrallenamento a dominanza “parasimpatica”

  • abbassamento della fc a riposo
  • più rapido recupero della fc al termine dello sforzo
  • decremento della concentrazione di lattato a carichi submassimali
  • decremento della produzione di lattato durante esercizio
  • diminuzione livelli plasmatici di adrenalina e noradrenalina al termine di sforzo incrementale condotto fino a livelli massimali
  • facilità d’affaticamento
  • ipoglicemia durante esercizio
  • comportamento flemmatico o depresso


Diagnosi di Overtraining – markers per la diagnosi precoce e preventiva


Non esiste  “il test” o “il marker” che rivela lo stato di sovrallenamento; per un sicuro riconoscimento del problema, occorre incrociare diverse informazioni, riguardanti innanzitutto il livello prestativo del soggetto ( non si può parlare di sovrallenamento se la prestazione non è peggiorata), quindi parametri ematochimici e psicologici. L’alterazione di alcuni importanti parametri, insieme ai segni e ai sintomi della sindrome, possono rendere più facile la diagnosi di overtraining.

L’elemento centrale della sindrome è naturalmente la riduzione della “performance”, che dovrebbe essere quantificata attraverso il ricorso a test funzionali più o meno complessi e precisi (determinazione del massimo consumo di ossigeno, della massima produzione di lattato, ecc.), ma che spesso appare chiara già dalla semplice analisi dei risultati ottenuti nelle gare o dal comportamento dell’atleta.

Per facilitare la diagnosi sono stati proposti e utilizzati numerosi indicatori biochimico-umorali, tuttavia la sensazione generale è che nessuno di questi indicatori da solo è in grado di consentire una diagnosi di certezza, e per tale motivo, essa deve scaturire da un’analisi complessiva dello stato psicofisico dell’atleta e da una corretta interpretazione di tutti i parametri funzionali ed ematochimici disponibili. Quando i segni di OT si rendono evidenti è già troppo tardi, per cui è necessario prevenirli.

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Gli studi fatti per identificare markers in grado di monitorare precocemente la sindrome sono numerosi e spesso contrastanti ma emergono alcuni aspetti di particolare interesse che di seguito vengono trattati:

Glutamina

E’ noto che il sistema immunitario prende parte importante nel meccanismo d’insorgenza del sovrallenamento. L’atleta sovrallenato può subire una significativa diminuzione delle difese immunitarie, responsabili di una maggiore vulnerabilità alle infezioni, particolarmente delle prime vie respiratorie. Fra le ipotesi di depressione del sistema immunitario vi è una diminuzione “da consumo” dei livelli ematici di glutamina, amminoacido essenziale per le sintesi proteiche che avvengono all’interno del sistema immunitario. 
È interessante notare che il calo della glutamina si verifica solo per sforzi esaustivi e prolungati (es. maratona), e non per esercizi anche intensi, ma di durata minore. Mackinnon e Parry-Billings hanno studiato a fondo la cinetica della glutamina notando che durante l’esercizio gli aminoacidi, glutamina compresa, aumentano in circolo dal 30 fino al 300 %. 
Va tenuta presente la funzione tampone degli aminoacidi (in particolare dell’alanina) così come il ruolo energetico del glutamato che può essere trasformato in succinato ed entrare nel ciclo di Krebs. 
Durante l’esercizio fisico i livelli plasmatici di glutamina aumentano per poi diminuire durante il riposo e tornare al livello pre-esercizio dopo qualche ora. 
In condizioni di stress la glutamina diminuisce soprattutto nel muscolo scheletrico. 
Nell’OT la glutamina sembra significativamente diminuita e a questo deficit viene attribuito l’aumento della frequenza delle infezioni delle vie respiratorie.

Eccitabilità Neuromuscolare

Lehmann  indica la ridotta eccitabilità neuromuscolare (NME) come marker di OT. 
La minima corrente pulsata rettangolare in grado di generare una singola contrazione muscolare (con differenti valori di durata della pulsazione) viene indicata come indice della eccitabilità neuromuscolare (NME ) La NME è migliore nel soggetto ben allenato mentre deteriora notevolmente nelle prime fasi dell’OT; infine, dopo due settimane di riposo (rigenerazione dell’OT), mentre la NME ritorna ai livelli normali, i sintomi dell’OT permangono. Quindi la NME può essere un marker di inizio dell’OT , ma non del ripristino della condizione fisiologica. 
 

Ferro e ferritina

La ferritina è  un indice della consistenza dei depositi del ferro nell’organismo. Quando il ferro viene consumato in grande misura per un aumentato fabbisogno in relazione ai carichi di allenamento o per aumento delle perdite con la sudorazione, è necessario che le riserve contenute nei depositi vengano ricostituite rapidamente. La carenza di ferro nel sangue e nei depositi può essere determinata, oltre che da un aumento dei consumi, anche da un insufficiente apporto con la dieta o da una scarsa assimilazione attraverso il tubo digerente. È consolidata la convinzione che livelli soddisfacenti del ferro nel sangue (sideremia) e nei depositi (ferritinemia) consentano migliori prestazioni atletiche, anche perché mantengono elevata la concentrazione dell’emoglobina. Non è provato il contrario, ma è pur vero che atleti che manifestano un calo delle prestazioni presentano, a volte, un metabolismo del ferro deficitario. Anche un aumento dei valori della ferritina, e non solo un calo, potrebbe rappresentare un marker di uno stato di affaticamento, in quanto una significativa elevazione del valore di questo parametro si riscontra nel corso di malattie infiammatorie o di malattie infettive.
 

Emoglobina ed ematocrito

L’emodiluizione, causata dall’espansione del volume del plasma, conduce inevitabilmente a una diminuzione dei valori di concentrazione dell’ematocrito e dell’emoglobina. In realtà, non si registra una vera e propria diminuzione della parte corpuscolata del sangue (globuli rossi, bianchi e piastrine), ma solo una sua diluizione. L’espansione del volume plasmatico, che determina l’emodiluizione, rappresenta un adattamento positivo tipico delle attività sportive di tipo aerobico come il ciclismo, e il calo dei valori di concentrazione dell’ematocrito e dell’emoglobina non comporta un calo delle “performance”, almeno fino a quando non si associno anche deficienze di ferro, distruzione dei globuli rossi durante esercizio fisico (emolisi) e disturbi della formazione dei globuli rossi da parte del midollo osseo. In tal caso si instaura un’anemia che dallo stato prelatente può passare al latente e, infine, all’anemia conclamata.

Peso corporeo

Nel pieno della stagione agonistica, oltre al massimo livello di prestazione, si raggiunge la stabilità del peso ponderale. Tutto il lavoro svolto in precedenza ci ha infatti consentito di abbassare la percentuale di grasso fino ai livelli minimi individuali, mantenendo tuttavia inalterati i valori di massa magra (la percentuale di muscolo). Quindi, in questo momento dell’anno, un calo del peso corporeo può essere indice di una riduzione della massa muscolare probabilmente derivata da un eccessivo carico di lavoro. Ecco la necessità di controllare periodicamente, almeno ogni due-tre giorni il nostro peso, nelle medesime condizioni (la mattina appena alzati) per verificare se ci sono variazioni significative.

Frequenza cardiaca

Un altro importante campanello di allarme della sindrome da sovrallenamento è l’andamento della frequenza cardiaca, sia a riposo che sotto sforzo.
Se  riscontriamo che, nei giorni successivi a uno sforzo intenso, la frequenza cardiaca a riposo è superiore rispetto a quella normale di questo periodo, dobbiamo sospettare un inizio di overtraining. Jeukendrup nel corso di uno studio effettuato su ciclisti professionisti mette in rilievo un significativo aumento della frequenza cardiaca nel sonno in corso di overreaching. Tale osservazione  necessita di ulteriore convalida, dato il numero ristretto (7 atleti) del campione soggetto della ricerca. 
Anche sotto sforzo, la frequenza cardiaca può dare segnali importanti per evitare l’affaticamento. Può accadere che, seguendo una tabella di allenamento impostata con ritmi individuali definiti proprio dalla frequenza cardiaca, non riusciamo, pur correndo o spingendo rapporti impegnativi e andando a una velocità elevata, a innalzare i battiti del cuore fino ai valori richiesti dalla tabella. È come se il nostro cuore perdesse la propria brillantezza, probabilmente a causa di uno scarso recupero nei giorni precedenti, oppure perché l’uscita di allenamento risulta troppo impegnativa per le nostre capacità. In una simile situazione è importante interrompere il programma previsto ed optare per un’uscita ad andatura costante non troppo impegnativa.

Altri sintomi

Innanzitutto il dolore muscolare e la spossatezza generale, sensazioni che permangono anche a riposo. Questi sintomi sono accompagnati da una riduzione dell’appetito e della quantità (numero di ore) e della qualità del sonno. L’indolenzimento degli arti e la debolezza sono derivati da una forte carenza di alcune sostanze essenziali per la prestazione sportiva, come il ferro, i sali minerali (in particolare il potassio), gli zuccheri (glicogeno muscolare) e le proteine. Questa condizione viene aggravata dal fatto che, a causa della inappetenza, andiamo a ridurre la possibilità di reintegrare proprio quelle sostanze di cui avremmo bisogno. Il malessere diffuso provocato dalla stanchezza generale comporta un sonno breve e agitato, che va a scapito delle possibilità di recupero dell’organismo.

Overtraining e sistema ormonale

Catecolamine urinarie

Mackinnon durante uno studio eseguito su 24 campioni di nuoto rileva che, nel corso di programmi di allenamento intensi ma di breve durata, la comparsa di OT può essere segnalata da una diminuzione del livello urinario delle catecolamine (già 2 – 4 settimane prima della comparsa dei sintomi di OT ). 
Alle stesse conclusioni era giunto in precedenza Lehmann che aveva notato una diminuita escrezione notturna di catecolamine correlata ad un esaurimento del sistema simpatico. Hooper, pur confermando la diminuita escrezione urinaria di catecolamine in corso di OT, nega il significato di esaurimento del sistema adrenergico in quanto i livelli ematici di catecolamine permangono normali o aumentati. 
 

Testosterone e cortisolo

Un altro apparato che viene a essere interessato in caso di “overtraining” è sicuramente quello endocrino. L’aspetto più noto e studiato è quello riguardante l’equilibrio tra i livelli di cortisolo e di testosterone. Il cortisolo, considerato come espressione tipica della risposta allo stress, è un ormone con funzioni prevalentemente cataboliche, mentre il testosterone ha funzioni essenzialmente anaboliche. Il rapporto testosterone (totale o libero)/cortisolo viene considerato un indice indiretto del bilancio “proteico” dell’organismo e in particolare dei muscoli scheletrici. Secondo la maggioranza degli autori, uno spostamento in senso catabolico, indicato da un aumento del cortisolo e/o da una riduzione del testosterone, dovrebbe essere considerato un indice affidabile di sovrallenamento o quantomeno di un incompleto recupero dalla fatica. Adlercreutz e coll. ipotizzarono che una diminuzione del rapporto testosterone libero/cortisolo superiore al 30% rispetto alla norma del soggetto avrebbe potuto essere rilevatrice di una situazione di sovrallenamento. Secondo le osservazioni più recenti, invece, tale rapporto sembrerebbe più indicativo dello stato contingente di sopportazione del carico di lavoro, che potenziale marker di una sindrome da sovrallenamento propriamente detta

Overtraining e  sistema immunitario

La disfunzione del sistema immunitario può non consentire il buon costituirsi della protezione contro sostanze estranee patogene (stato di immunodeficienza), ma anche essere a sua volta una causa di malattia; si vengono così a riconoscere le malattie autoimmuni quando l’organismo reagisce contro il “self” con manifestazioni sistemiche (es.collagenopatie, cioè le malattie del tessuto connettivo) o patologie d’organo (es. nefropatie, neuropatie ecc.), le malattie iperergiche (allergopatie), nonché le neoplasie dello stesso sistema immunitario (le malattie immunoproliferative).

Negli ultimi anni un certo numero di Autori ha indagato anche le funzioni immunitarie degli atleti, interessandosi soprattutto alle alterazioni che si verificano subito dopo lo sforzo fisico intenso. Sebbene la competizione sportiva sia stata tradizionalmente considerata come una condizione recante benefici alla salute, gli studi condotti dimostrano che almeno per quanto riguarda il sistema immunitario i dati fin qui raccolti non orientano sempre in questo senso.

Infatti si assiste, in quasi tutti i test eseguiti, alla comparsa dopo la prestazione sportiva di un quadro che ricorda quello delle immunodeficienze; tale condizione è sicuramente transitoria perché l’assetto immunitario è generalmente normale negli atleti a riposo.

Esiste un aspetto che gli allenatori ben conoscono: quello della ridotta efficienza atletica dei soggetti “superallenati” che accusano un’aumentata suscettibilità alle infezioni.

Questo ragionamento focalizza il problema dell’influenza dell’attività sportiva sul sistema immunitario; una buona difesa immunitaria rende un atleta meno suscettibile ai processi infettivi, così come una valida costituzione fisica rende meno probabili gli incidenti muscolo-scheletrici.

È evidente che i processi infettivi sono nocivi non solo nell’imminenza delle competizioni, ma anche durante la fase di preparazione, perché alterano un programma di lavoro accuratamente preparato per mesi o addirittura per anni, come avviene nel caso dei Giochi Olimpici.

Sono stati condotti numerosi studi sulla risposta del sistema immunitario allo sforzo fisico, senza che questi però abbiano avuto criteri di omogeneità e riproducibilità. Molte variabili infatti interferiscono su indagini di questa natura: in primo luogo il tipo di sforzo fatto praticare per caratteristiche di intensità, durata e vie metaboliche utilizzate; inoltre, è diverso il valore di una prestazione fisica se effettuata da un soggetto non allenato, da un praticante o da un atleta di livello internazionale. Un’ultima considerazione riguarda anche le tecniche immunologiche utilizzate nello studio, che sono state spesso diverse e legate anche al tumultuoso evolversi che queste hanno avuto negli ultimi anni.

Le manifestazioni cliniche possono essere rappresentate da infezioni di varia natura per lo più virali, da forme banali quali quelle erpetiche, a malattie delle prime vie respiratorie, tonsilliti, gastroenteriti, fino a forme più gravi, talvolta etichettate come “febbre ghiandolare”, ma riconducibili a malattie quale la toxoplasmosi.

In tutti gli studi è comparsa, immediatamente dopo lo sforzo fisico, leucocitosi coinvolgente tutte le subpopolazioni cellulari, comprese quelle linfocitarie

La maggior parte dei ricercatori concorda nel rilevare un aumento più spiccato dei linfociti CD8 (“suppressor”), rispetto a quelli ai CD4 (“helper”); questo determina una riduzione del rapporto CD4+/CD8+ che rappresenta un primo segno di squilibrio immunitario.

Anche le cellule “natural killer” (NK) sembrano essere modificate dall’esercizio fisico con aumento delle cellule del fenotipo CD16 e una alterata attività funzionale; sembra che l’attività NK raggiunga un massimo immediatamente dopo l’esercizio fisico, si riduca dopo due ore e non si sia ancora normalizzata dopo venti ore.

Alcuni Autori sostengono addirittura che l’attività sportiva protratta a lungo deprima l’immunità aspecifica, rendendo così chi ha praticato a lungo sport, come chi ha fatto attività agonistica per anni, più suscettibile alle infezioni.

Del resto in molti atleti di primo piano, anche il livello di immunoglobuline-G circolanti sembra essere più basso alla fine della stagione agonistica rispetto all’inizio.

Alcuni ricercatori polacchi sostengono che la maggior parte dei parametri immunologici si rinormalizzerebbe nel giro di due ore, ma gli studi sul tempo di recupero attualmente sono pochi. In altri lavori non sono state riportate alterazioni a carico delle subpopolazioni linfocitarie a distanza di 24 e 72 ore dalla prestazione fisica

La fase in cui il sistema immunitario è più vulnerabile è quella immediatamente seguente alla prestazione fisica

Durante lo sforzo fisico una grande quantità di ormoni e mediatori sono liberati, per cui non è facile risalire ai meccanismi con cui essi interagiscono; lo stesso tipo di metabolismo coinvolto, aerobico o anaerobico lattacido, potrebbe avere influenza sul grado di coinvolgimento sul sistema immunitario.

I tre fattori classicamente ritenuti responsabili della leucocitosi, emoconcentrazione per perdita di liquidi extracellulari, secrezione di catecolamine e incremento dei livelli sierici di cortisolo, appaiono essere abbastanza restrittivi.

Importanti sono anche i neuropeptidi, visto che lo stress psichico intenso può determinare modificazioni immunologiche simili ed evolvere in forme larvate di immunodeficienza.

Negli atleti ad alto livello i due meccanismi di stress fisico e psichico possono coesistere; questa ipotesi sembrerebbe avvalorata anche dalle osservazioni di alcuni ricercatori che hanno rilevato una maggiore alterazione nei parametri immunologici dei soggetti a più elevato rendimento agonistico.

Tutto questo fa comunque pensare che la patogenesi delle modificazioni immunologiche indotte dall’esercizio fisico non è monofattoriale, ma legata allo sbilanciamento di quei fattori, stimolanti ed inibenti, che regolano nel suo insieme la risposta immunitaria.

Molto poco sappiamo sui meccanismi con cui questo si realizza. Appare comunque consigliabile aggiungere ai controlli che si eseguono nel corso della pratica sportiva, specie negli atleti a più elevato livello competitivo, anche una valutazione delle funzioni immunitarie in modo da modulare la preparazione anche in funzione di una prevenzione di quelle manifestazioni infettive che pur essendo nella maggior parte dei casi banali, spesso impediscono al soggetto di fornire la miglior prestazione agonistica nel momento in cui questa è stata prefissata.

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